
Trolösa (Infedele) (Faithless) è una nuova serie svedese, in sei episodi, prodotta da Miso Film, presentata al TIFF (Festival internazionale del Film di Toronto) attualmente trasmessa dal canale pubblico svedese SVT. La serie racconta la storia di Marianne Vogler, un'attrice sposata con Markus, pianista riconosciuto e spesso in viaggio, entrambi genitori di una bambina di nome Isabelle, che ha 9 anni all'inizio della storia.
Il loro matrimonio sembra perfetto, fino al giorno in cui arriva David, un amico di giovinezza del marito, tornato in Svezia dopo un divorzio difficile. Marianne e Simon intraprendono così un gioco di seduzione che presto andrà oltre la semplice amicizia, sconvolgendo la vita di tutti i personaggi coinvolti e conducendoli a un confronto con i loro desideri, le loro bugie e le realtà dell'amore…
Genesi del progetto
Inizialmente, un copione firmato da Ingmar Bergman, ispirato da un dramma dolorosamente vissuto dallo stesso Bergman: nel 1949, mentre era in coppia con l'attrice e coreografa Ellen Hollender (madre di quattro dei suoi figli), iniziò una relazione adulterina con la giornalista Gun Hagberg, una storia dolorosa emotivamente che lasciò una traccia indelebile sia a livello professionale che personale. Nella sua autobiografia (Laterna Magica), ricordando questo episodio, Bergman scrive: "Il nostro amore ha lacerato i nostri cuori e, fin dall'inizio, portava in sé i semi della distruzione". In un altro dei suoi film importanti, "Scene da un matrimonio", racconta questo periodo emotivamente molto intenso per il cineasta, che si concluderà con un divorzio nel 1952.
La sceneggiatura sarà poi portata sul grande schermo per la prima volta nel 1999 da Liv Ullmann (con cui aveva anche condiviso la vita negli anni '60 e con cui fece un ritorno sulla scena internazionale dopo una lunga assenza). Si tratta del primo film di fiction di Liv Ullmann, che prima aveva realizzato principalmente documentari, ed è stato presentato in competizione al Festival di Cannes nel giugno 2000.
Marianne (Lena Endre) i Trolösa. Foto: Joakim Strömholm © AB Svensk Filmindustri
Il copione di Bergman e il film di Liv Ullmann usciranno purtroppo a mani vuote dal festival, il film otterrà un successo critico contrastato a livello internazionale, ma l'attrice principale Lena Endre sarà premiata nel 2001 ai Guldbagge svedesi (l'equivalente dei David di Donatello) con un premio per la sua interpretazione.
La nuova serie in breve
Questa nuova versione televisiva, scritta dalla sceneggiatrice norvegese Sara Johnsen, conosciuta per la mini-serie July 22 di NRK (sull'attacco terroristico di Utøya del luglio 2011), è nata grazie all'iniziativa di un regista svedese pluripremiato (La Talpa, Lasciami entrare, tra gli altri), Tomas Alfredson (figlio di Hasse Alfredson del celebre duo Hasse och Tage).
”Trolösa”.Foto: Johan Paulin/SVT.
Alfredson, che pensava a questo progetto da lungo tempo, confessa di aver cercato prima di contattare il maestro svedese Ingmar Bergman nel 2001 per cercare di convincerlo di un possibile adattamento televisivo del suo copione. Bergman aveva inizialmente respinto l'idea, dicendo che si trattava semplicemente di un'idea nata una sera durante una bevuta, ma poi, man mano che la discussione con il giovane regista proseguiva, aveva ammesso che l'idea era probabilmente tanto "fallimentare" quanto eccitante.
Un dispositivo narrativo audace e un cast eccezionale
Sotto la penna creativa di Johnsen, il triangolo amoroso tra David, Marianne e Markus è raccontato parallelamente in due periodi, un processo narrativo che obbliga a utilizzare 6 attori (e anche 8 se si conta Isabelle) diversi per interpretare il quartetto di un tempo e quello di oggi, una vera sfida per il casting brillantemente affrontata da Alfredson. Nell'intreccio ambientato nel presente, il famoso regista David Howard, di 73 anni (interpretato dall'ottimo attore danese Jesper Christensen), ritrova il suo grande amore di un tempo, l'attrice Marianne Vogler, di 75 anni (interpretata da Lena Endre, la stessa attrice iconica del film di Liv Ulmann), ora ricoverata in ospedale (ha appena tentato il suicidio). Insieme, ricordano la loro vecchia relazione e le sue dolorose conseguenze, non solo per loro stessi, ma anche per le loro famiglie.
”Trolösa”.Foto: Johan Paulin/SVT
Nell'intrigo del passato, ambientato 40 anni prima e che inaugura davvero la serie, seguiamo il giovane David (interpretato da Gustav Lindh, carismatico) e Marianne (interpretata da Frida Gustavson, radiosa) che si innamorano e vivono una passione travolgente, tenuta segreta da Marianne (sposata con Markus, il miglior amico di David) sotto lo sguardo al contempo temibile e innocente di Isabelle.
Il processo narrativo alterna tra il passato e il presente, permettendo allo spettatore di seguire gli eventi in due temporalità distinte: quella del ricordo nostalgico e felice e quella del rimpianto e della dolorosa confrontazione con le conseguenze dell'infedeltà. Questa struttura non lineare crea una tensione drammatica, rivelando gradualmente i dolori e i rimpianti dei personaggi, ma anche tutte le implicazioni di un divorzio. Ha anche il vantaggio di mostrare senza giudizio, con le due linee narrative presentate allo spettatore senza uno sguardo morale ma sotto una moltitudine di angolazioni e in modo corale: il punto di vista di ogni personaggio, incluso quello del marito tradito e del bambino (testimoni impotenti), viene preso in considerazione. Ognuno può poi vederlo attraverso il filtro della propria esperienza personale.
È chiaramente la buona idea della serie, perché nella versione di Liv Ulmann, che si apriva su un dispositivo più psicoanalitico (il vecchio regista che chiedeva all'attrice di raccontargli la sua storia con l'amante David), una sorta di introspezione sotto controllo in un certo senso, si vedevano soprattutto i conflitti di ego e i rapporti psicotici tra i due personaggi (Bergman e i suoi demoni), e ciò lasciava poco spazio ai personaggi secondari e all'interpretazione personale dello spettatore.
Markus Vogler (August Wittgenstein) et sa femme Marianne Vogler (Frida Gustavsson)/ photo Johan Paulin
Qui ci sono meno crisi e urla, solo piccoli dettagli, silenzi carichi e sguardi pesanti, movimenti del viso quasi impercettibili. Non c'è un vero culmine né un'immersione nell'angoscia, ma una tensione permanente, come se fosse sulla pelle. Tomas Alfredson rispetta profondamente il cinema di Bergman, ma rifiuta di imitarlo; si appropria il copione nel miglior modo possibile: interpretandolo a modo suo e con il suo stile così singolare.
Una scrittura e una regia più moderne
Con questa nuova versione, Tomas Alfredson lo ha confidato in diverse interviste, voleva anche restituire l'intensità che aveva provato vedendo il film di Liv Ulmann mentre attraversava lui stesso un doloroso divorzio. Il suo approccio sottile, meticoloso e spesso molto "atmosferico": lascia che si crei un clima che si sviluppa lentamente, costruendo così la sua intensità attraverso momenti di calma prima dell'esplosione (relativa, rispetto ai film di Bergman), ma amplificata dai silenzi che la precedono.
Alfredson privilegia i piani lunghi e molto composti. Usa spesso spazi ampi o inquadrature pulite per sottolineare la solitudine o l'isolamento dei suoi personaggi. Usa abilmente piani stretti e fuori campo per creare una tensione drammatica e lasciare allo spettatore un vero spazio e un vero ruolo. I suoi film hanno sempre un'estetica molto curata e i suoi movimenti di macchina sono generalmente lenti e calcolati, mettendo in risalto, in questo caso, il triangolo amoroso e il quartetto con la figlia in modo corale e molto visivo: la scena del compleanno nell'episodio 5 e i giochi di sguardi tra i personaggi, da questo punto di vista, sono un concentrato dell'arte cinematografica di Tomas Alfredson, molto pittorica ma anche molto emozionale.
/ photo Johan Paulin
Eppure le emozioni affiorano più che emergere, i danni collaterali sono visibili ma non si trasformano sistematicamente in colpa e angoscia, tutto è molto più ovattato, tutto è nel non detto, come spesso accade durante un divorzio.
Una dimensione erotica chiaramente assunta
La dimensione erotica del film, sostenuta da una musica jazz molto sensuale, è un altro elemento che contribuisce all'atmosfera particolare del film, a quel senso di libertà così emblematico degli anni '70. Il tutto porta a una visione malinconica, senza tempo e universale della rottura o del divorzio che può parlare a tutti. In questo, è del tutto fedele al lavoro di Bergman, ma non è figlio di pastore, è meno influenzato dal senso di colpa e l'angoscia è più fluttuante, come se fosse distaccata dal racconto.
/ photo Johan Paulin
Grazie a lui, seguiamo anche il carattere meravigliosamente avventuroso della passione amorosa, la sua dinamica, dimenticando le angosce e i danni collaterali che spesso si vedono solo dopo. È una passione amorosa e una vera e propria ricerca esistenziale che ci vengono mostrate, e le seguiamo in questa epopea, senza angoscia.
Frida Gustavsson (Marianne) i ”Trolösa”. Foto: Johan Paulin/SVT
Una volontà di trasmissione: essere una sorta di ponte
Consapevole anche che i giovani (in Svezia o altrove) non conoscono Bergman e che il suo cinema può anche allontanare una parte del pubblico, cerca di agevolare il passaggio generazionale, modernizzando e adattando il racconto ai nuovi codici, alle nuove maniere di pensare, alle nuove esigenze del pubblico. Anche se il soggetto e il tema trattati rimangono gli stessi, poiché sono universali e senza tempo, il pubblico attuale non ha più le stesse aspettative e si tratta qui di una serie per la televisione, con un rischio di distacco ancora maggiore rispetto al cinema.
È quindi molto intelligente da parte di Tomas Alfredson puntare sull’aspetto visivo e sulla musica piuttosto che su lunghi dialoghi introspettivi e una messa in scena troppo essenziale. È anche molto meno faticoso emotivamente procedere per piccoli tocchi, lasciando spazio allo spettatore, piuttosto che sovraccaricarlo di colpa dopo una giornata di lavoro.
Una colonna sonora (Hans Ek) molto riuscita che contribuisce all’originalità della serie
Hans Ek è un compositore e arrangiatore svedese, riconosciuto per il suo lavoro nel campo della musica da film. È particolarmente apprezzato per le sue colonne sonore e i suoi arrangiamenti che uniscono abilmente diversi stili musicali. Ek ha collaborato spesso con registi svedesi, in particolare con Hans Alfredson per Lasciami entrare, ma anche con il danese Thomas Vinterberg e il norvegese Erik Poppe. La musica e la colonna sonora, estremamente pertinenti, contribuiscono a creare questa atmosfera e a sublimare i silenzi. Grazie a essa, siamo in immersione emotiva nel film, molto vicino ai personaggi e alle loro sensazioni, ma senza spiegazioni verbali. I momenti di silenzio sono così valorizzati e invitano alla concentrazione: alla fluidità della musica si oppone la difficoltà e il carattere fortuito dell’esistenza con cui bisogna fare i conti. Tomas Alfredson non ci fa aggirare queste difficoltà, ci mette di fronte a esse, ma con una compassione e una delicatezza sia umana che artistica.
Potete scoprire un’anteprima guardando il trailer.